La cucina popolare romana
Le vie del gusto passano per i quartieri “popolari” dove è rimasta viva la tradizione, Trastevere e Testaccio, più centrali, ma anche la Garbatella, San Lorenzo, Ostiense pullulano di trattorie, la sera diventano la meta previlegiata per ritrovare locali e osterie storiche.
Il posto d’onore nella cucina romana, anzi romanesca, spetti al cosiddetto quinto quarto, le frattaglie, cioè tutte le interiora o le parti meno pregiate di bovini e ovini, che non avevano accesso nelle cucine delle classi più agiate e che erano quindi destinate allo scarto. Sono trippa, rognoni (i reni), cuore, fegato, milza, animelle e schienali, cervello, lingua e coda, o la coratella, l’insieme di fegato, polmoni, cuore. Con questi umili ingredienti si sono elaborati piatti straordinari per gusto e delicatezza che, nonostante l’umile provenienza, accarezzano il palato: i rigatoni con la ‘pajata’ o con il rognone, la “coratella” con i carciofi o con la cipolla, la “trippa alla romana“, la “coda alla vaccinara“, lo stufatino alla romana, i saltimbocca, sono solo alcune delle vere prelibatezze che offre il ricco parterre delle pietanze cittadine. Fra le parti povere del manzo, due piatti di antica origine popolare che ancora si trovano nelle osterie romane sono la milza in umido, insaporita con salvia, aglio, aceto, acciuga e pepe, ed il rognone al pomodoro, cotto con un sugo di cipolla, pomodori, prezzemolo, vino bianco e pepe.
Una vera rarità è il garofolato di manzo, un arrosto di girello di manzo farcito con pezzetti di lardo, chiodi di garofano (perciò il nome), aglio a fettine e cotto a fuoco lento per un paio d’ore con cipolla, olio e burro in un tegame con sedano e pomodoro. Il sugo del garofolato veniva usato anche per condire la trippa alla trasteverina, che veniva poi passata in forno arricchita con pecorino grattugiato ed un battuto di menta.
Il quartiere Testaccio conserva quasi intatta la sua origine popolare e il ricordo di come, in passato, i macellai che lavoravano nel mattatoio venivano pagati parte in moneta, parte con gli scarti della macellazione, cioè con il quinto quarto. Non ultime in questa breve lista le lumache, must della gastronomia francese, a Roma sono proposte in veste casereccia ma non per questo meno gustose. Le lumache alla romana, dette anche “di San Giovanni”, venivano preparate dagli osti romani nella notte fra il 23 e il 24 giugno in onore del santo e servite al popolo in una grande festa sulla piazza antistante la basilica, tradizione che ancora oggi si conserva. Anticamente dedicata alla dea Cerere la festa del 24 Giugno, era celebrata per propiziarsi la fortuna e l’abbondanza e per scacciare le divinità avverse, dedicata poi a San Giovanni, mantenne la sua funzione propiziatoria, le corna delle lumache rappresentano il diavolo, quindi il male. Nell’800 diventa anche una festa di pace e nei vari banchetti organizzati, detti i “banchetti della concordia” o “banchetti della pace” si servivano appunto lumache.
In una cucina povera ma succulenta come quella romana, descrittaci soprattutto nell’800 da artisti, poeti e scrittori che raccontarono dal vivo scene di vita popolare, sono protagoniste anche le minestre e le paste asciutte che, come tutto a Roma, hanno origini lontane. Polente di farro, fave, orzo, le pultes, erano le minestre degli antichi; di laganum, sottile sfoglia di pasta fatta di acqua e farina e spianata con il mattarello, andavano ghiotti Cicerone e Orazio già nel primo secolo a. C.
Per tornare a oggi, in primavera, protagoniste le fave nella vignarola, primo piatto della cultura contadina romana a base di fave fresche, piselli, carciofi, lattuga, guanciale, cipolla. Ottime zuppe di verdure e di legumi, oppure durante le festività stracciatella, brodetto di pasqua, cappelletti in brodo, vengono serviti in tutti i ristoranti cittadini, assieme alle paste conosciute in tutto il mondo che in pochi riescono a imitare. La forza della cucina romana è quella di usare ingredienti e condimenti provenienti dal territorio, le magnifiche verdure: broccoli, cicorie, carciofi, pomodori, fave; la grande varietà di latticini, saporiti e genuini; le squisite e teneri carni provengono generalmente dall’agro romano, la fertile campagna che circonda la città e che da sempre la rifornisce. Guanciale, pancette, verdure, legumi, ci restituiscono piatti ormai ‘mitici’, pasta e fagioli con le cotiche, pasta e broccoli, spaghetti alla carbonara, bucatini alla matriciana, la “gricia”, ma anche fettuccine alla romana o alla papalina, insieme ai ravioli di ricotta, pietanze spesso completate con il pecorino romano. E per finire penne all’arrabbiata, olio d’oliva, aglio, pomodoro e tanto tanto peperoncino, arrabbiata infatti sta per piccantissimo. La lista poi degli spaghetti è lunga, quasi come la ‘camicia di Meo’, alla carrettiera, alla puttanesca, alla checca, alla bersagliera…
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