Santa Prassede
La leggenda del VI secolo afferma che Prassede e Pudenziana erano due sorelle, figlie del Senatore Pudente, che dovrebbe essere il personaggio menzionato da San Paolo nella Seconda Lettera a Timoteo (4.21), e lo stesso Timoteo, martire ad Efeso nel 97 sarebbe figlio del Senatore e, quindi, fratello delle due sante, anche loro alla fine martirizzate, sotto Antonino Pio (140-155 circa). Appaiono evidenti le numerose incongruenze (una fra tutte: la casa sul Vicus Patricius – attuale Via Urbana, nella quale Pudente avrebbe creato una Domus ecclesiae nella quale sarebbe vissuta Prassede, è chiaramente successiva ai fatti narrati, collocandosi cronologicamente non prima del II secolo), ma tutta la leggenda serve a dimostrare la notevole antichità del titolo e del culto della Santa. Il Titulus Praxedis è menzionato per la prima volta, però, solo nel 489 (anche se si ritiene sia stato eretto intorno al 112), in una iscrizione del cimitero di Sant’Ippolito sulla Tiburtina, e che fa riferimento proprio alla leggenda di Pudente e dei figli. La Domus ecclesiae dove sarebbe vissuta Prassede, e su cui poi sarebbe sorta la sua chiesa, sarebbe servita come rifugio ai cristiani perseguitati, e il cui sangue sarebbe stato raccolto dalla stessa Prassede in un pozzo, che esisteva realmente sino a poco tempo fa. Dal Sinodo romano del 499 il titolo cardinalizio viene sempre nominato come tale. Nel 2014 è Titolare il Cardinale francese Paul Poupard (dal 1996).
Non sappiamo che forma avesse questo edificio paleocristiano, che fu rinnovato – a detta del Liber pontificalis – da Papa Adriano I intorno al 780. Radicale, e di fatto ancora oggi visibile, il successivo intervento disposto da Papa Pasquale I nell’817. Fu lui ad ordinare la costruzione di un nuovo edificio sacro al posto del vecchio ormai in abbandono.
La nuova chiesa doveva raccogliere le ossa dei martiri sepolti nel cimitero di Priscilla. Fin da allora la chiesa si trovò inserita nel contesto urbano circostante e, come accade ancora oggi, non era direttamente visibile dalla strada. Pasquale I annesse alla basilica un convento per la comunità greca. Le ossa dei martiri vennero trasferite dal suo successore Eugenio II a Santa Sabina sull’Aventino. Dalla metà del XII secolo la chiesa di Santa Prassede fu affidata ai canonici regolari di Santa Maria del Reno di Bologna, la cui gestione fu però talmente disastrosa d essere ben presto revocata da Papa Celestino III (Giacinto Pietro da Borbone, Papa dal 1191 al 1198). Il suo immediato successore, Innocenzo III (Lotario dei Conti di Segni, Papa dal 1198 al 1216), appena eletto affidò Santa Prassede ai monaci di Vallomborosa, che ancora oggi la possiedono. Come tutte le più importanti ed antiche chiese di Roma anche Santa Prassede ha subito numerosi e profondi rimaneggiamenti, restauri e modifiche. In particolare sotto Papa Niccolò V (il coltissimo Tommaso Parentucelli, Papa dal 1447 al 1455) interventi molto significativi furono fatti per opera probabilmente di Bernardo Rossellino. Successivamente intervennero anche i Papi Innocenzo VIII (Giovanni Battista Cybo, 1484-1492) e Pio IV (Giovanni Angelo Medici, 1559-1565). Quest’ultimo, in particolare, viene ricordato per aver nominato Titolare di Santa Prassede Carlo Borromeo, suo nipote che stava diventando uno dei più importanti e zelanti realizzatori della Controriforma cattolica decisa nel Concilio di Trento appena concluso. Per sua decisione vennero rifatte la scalinata d’accesso, il portale centrale e la sacrestia. Fu sempre su suo ordine che si provvedete a mettere la copertura a volte nelle navate laterali, ad aprire otto grandi finestre nella navata centrale (erano ventiquattro ai tempi di Pasquale I). Importanti interventi furono disposti anche dai cardinali Antonio Pallavicini Gentili, Alessandro de’ Medici (che fece decorare la navata centrale) e Ludovico Pico della Mirandola. Nel XVIII secolo, su indicazione del Sinodo romano del 1725, si fecero cercare le reliquie antiche che si trovano disperse nella basilica stessa, e si intervenne sulla cripta. Nel 1870 il convento di Pasquale I fu distrutto e sostituito da una scuola professionale. Anche nel XIX e XX secolo si sono registrati interventi di restauro, spesso imprudenti e confusionari, con la distruzione delle aggiunte successive all’epoca medievale, e il rifacimento in stile cosmatesco del pavimento (1918). Nel 1937 fu, inoltre, tolto l’intonaco alla facciata per ripristinare l’antica struttura.
Come detto, l’edificio basilicale è inserito nell’isolato definito da Via dell’Olmata, Via di Santa Prassede (dove c’è l’attuale ingresso), Via di San Martino ai Monti (dove, invece, si trova l’ingresso principale al momento chiuso) e Via dei Quattro Cantoni. La facciata della basilica si trova all’interno di un cortile quadrangolare, delimitato da edifici abitativi. L’accesso allo spazio aperto che precede la chiesa vera e propria e che rimarca, in parte, l’antico quadriportico paleocristiano, si ha attraverso una lunga scalinata che parte dalla discesa di Via San Martino ai Monti, con un antico protiro originale sorretto da due colonne di spoglio e sormontato da una loggetta in stile barocco, aggiunga nel XVI secolo. Come detto, ad oggi (2014) questo ingresso è sempre chiuso, anche se viene annunciato come imminente il momento della, auspicata, riapertura. La facciata, con paramento murario costituito da mattoni a vista, possiede ancora le tre monofore ad arco a tutto sesto paleocristiane. All’interno la basilica è a tre navate, ed suddivisa da colonne e pilastri che reggono gli arconi di rafforzamento che risalgono al XIII secolo. La zona del presbiterio è dovuta agli interventi disposti dal Cardinale Ludovico Pico della Mirandola tra il 1728 ed il 1734, quando vennero rinvenute molte reliquie sotto l’altare maggiore. I lavori portarono alla costruzione della balaustrata, di tre rampe di scale, del ciborio, del nuovo altare e dei stalli lignei del coro. Il centro dell’abside è chiuso da un quadro di Domenico Maria Muratori (Santa Prassede che raccoglie il sangue dei martiri).
Questi interventi murarono radicalmente la concezione voluta in origine da Pasquale I, sovrapponendosi ai grandi mosaici risalenti al IX secolo, voluti proprio da Pasquale I (che vi appare con in mano un modello della chiesa, e con un iscrizione che augura al Papa di aver conquistato con il rifacimento della chiesa il paradiso), e che coprono il catino absidale, l’arco absidale e l’arco trionfale. Anche la cripta e la zona sovrastante furono rifatte sotto il Cardinale Ludovico della Mirandola. In precedenza esisteva una camera con le reliquie alla quale si accedeva tramite due scale, e nella quale erano conservati i sarcofagi che conterrebbero i corpi di Prassede e Pudenziana. Oggi, invece, abbiamo un unico ingresso che porta ad un corridoio dove sono collocati quattro sarcofagi, e che termina con un altare cosmatesco, ove è presente un affresco settecentesco che è il rifacimento di quello presente nell’antica camera reliquaria, andato distrutto a causa dei lavori di rifacimento. Per quel che riguarda la navata di destra, che poi è quella che accoglie attualmente il visitatore che entra dall’ingresso di Via di Santa Prassede, si incontra la cappella del crocifisso sorta nel XIII secolo e che è stata modificata nel 1927da Antonio Munoz. Nella cappella si trovano, in particolare, la tomba del cardinale Pantaleone Anchier (titolare dal 1262 al 1286). L’epigrafe sopra la tomba ricorda il suo assassinio, avvenuto proprio nella cappella il 1 novembre 1286. Nella parete opposta vediamo un crocifisso ligneo del XIV secolo. Tra la cappella del crocifisso e quella di san Zenone, lungo la navata destra, sono collocati alcuni monumenti. In particolare, è importante il monumento funebre a Giovanni Battista Santoni, opera giovanile (databile intorno al 1615) di un Gian Lorenzo Bernini già capace di grande penetrazione psicologica e finezza stilistica. Troviamo poi l’entrata del sacello di San Zenone, fatto erigere da Pasquale I come luogo funerario dedicato alla madre Teodora. Si tratta di un classico esempio di cappella romana del IX secolo completamente rivestita di mosaici in stile bizantino. Una delle reliquie più importanti conservate a Santa Prassede è la cosiddetta Colonna della flagellazione, sulla quale sarebbe stato legato Cristo durante le prime fasi della Passione. Portata a Roma dal Cardinale Giovanni Colonna da Gerusalemme nel 1223 è collocata all’interno di una edicola-reliquario in bronzo eseguito nel 1898. Passando alla navata centrale, essa fu bruscamente modificata tra il XIX ed il XX secolo. Nel 1868, infatti, venne inserito il soffitto a cassettoni e nel 1918 il pavimento. Importanti appaiono le scene della Storia della Passione di Cristo, ciclo pittorico delle pareti eseguito da vari pittori tra il 1594 ed il 1596. Nella navata di sinistra è collocata una edicola del XVIII secolo. Sul fondo è inserita una lastra di marmo nero che la leggenda vuole sia la pietra sulla quale Prassede dormiva e con la quale venne chiusa la sua tomba. Ai lati dell’edicola si trovano due affreschi che raffigurano i genitori della santa. In questa navata vengono collocate importanti cappelle, in particolare quella dedicata a San Carlo Borromeo, edificata nel 1735. Infine, la sacrestia alla quale si accede dalla navata di sinistra, è stata voluta da Carlo Borromeo, come evidenzia lo stemma di famiglia posto al centro della volta. Qui sono conservate tele di diversi autori quali Agostino Ciampelli, Giovanni de Vecchi, Guglielmo Cortese.
Federico Smidile, studioso di storia