Via Merulana di Gadda

Roma, marzo 1927

Quer pasticciaccio brutto de via Merulana

Durante i primi anni del fascismo, il commissario della Squadra Mobile di Polizia Francesco “Don Ciccio” Ingravallo, arguto e orgoglioso molisano, è incaricato di indagare su un furto di gioielli ai danni di un’anziana donna di origini venete, la vedova Menegazzi. In seguito viene uccisa, nello stesso palazzo che era stato teatro della rapina, la moglie di un uomo piuttosto ricco, la signora Liliana Balducci. Il luogo del furto e dell’omicidio è un tetro palazzo di via Merulana 219, noto come “Palazzo degli Ori” (a causa della supposta ricchezza dei ricchi borghesi che ne sono gli abitanti.), situato poco distante dal Colosseo. Una targa posta sulla facciata ricorda che fu il luogo del furto e dell’omicidio all’interno del romanzo.

L'AMBIENTAZIONE

La scelta di ambientare il romanzo a via Merulana rientra nell'accurata ricostruzione storico-sociale che Gadda si propone. Via Merulana è una delle strade principali del Rione Esquilino ed è l’asse che collega due importanti basiliche, quella di S. Giovanni Laterano e quella di S. Maria Maggiore.

La strada deve il suo popolare nome agli edifici con merlature esistenti un tempo nella zona dell’Esquilino; aperta da Gregorio XIII per l’anno santo del 1575 nel contesto viario di collegamento fra le basiliche, per consentire ai pellegrini di raggiungerle più agevolmente, fu terminata da papa Sisto V nel 1587. Il destino della via attuale caratterizzata dai suoi palazzi umbertini inizia nel 1873 quando l’architetto Micheletti presentò il progetto di trasformazione delle vigne della zona in aree edificabili. All’epoca a Roma c’erano appena 226.000 abitanti, e per adeguare la città al suo nuovo ruolo viene varato un progetto urbanistico imponente, che prevede la costruzione di grandi edifici rappresentativi, quartieri di abitazione per i burocrati della nuova amministrazione, ampie strade di collegamento. Nel giro di un trentennio Roma viene stravolta. Sull’Esquilino viene costruito un intero quartiere, e questa “è forse la più grande impresa di Roma capitale, pensata come un’addizione organica alla città” (F. Giovannetti). La zona viene scelta perché è vicina alla nuova Stazione Termini e ha il “pregio” di essere poco urbanizzata, caratterizzata com’è da ville con vasti giardini, vigne e orti. I resti archeologici che si scoprono nel corso dei lavori vengono distrutti  sistematicamente mentre si salvano i “capolavori”: statue, rilievi, bronzi e gioielli. Il nuovo quartiere ha un impianto urbanistico a scacchiera,un omaggio a Torino: la città dei Savoia ha infatti una struttura di questo tipo (che deriva dalle sue origini romane).

ll cuore del quartiere è Piazza Vittorio Emanuele II, una grande piazza porticata. I portici, molto diffusi nel nord Italia, sono una novità della Roma umbertina: devono dare un’idea di monumentalità e, al tempo stesso, favorire la mobilità dei cittadini. Ma sono estranei allo spirito della città, tanto è vero che la piazza viene sentita come “piemontese”.
Al di sopra dei portici, caratterizzati da 280 colonne, si innalzano palazzi progettati per essere “grandiosi”: alti almeno 24 metri, costituiti solo da tre piani, con facciate che si ispirano all’architettura del tardorinascimento. I palazzi al centro dei lati lunghi sono i più maestosi, e vengono affidati a Gaetano Koch (l’architetto di Piazza della Repubblica). Gli appartamenti sono lussuosi, molti con soffitti affrescati. Dal lato est della piazza partono tre strade (le vie Principe Eugenio, Conte Verde, Emanuele Filiberto) che formano un Tridente, un omaggio al rinascimentale Tridente di Piazza del Popolo.

La Trama

La narrazione parte con la descrizione dell'ambiente attorno alla signora Balducci e si allarga ai Castelli Romani da dove provengono le domestiche della signora e le "nipoti", ragazze che accoglieva come figlie per compensare solitudine e mancata maternità. Intorno una folla di comparse: la svenevole e avvizzita contessa Menegazzi, vittima del furto, il commendator Angeloni "prosciuttofilo", i brigadieri della questura, i carabinieri di Marino a caccia di indizi nella campagna, le figure sfocate delle domestiche e nipoti. Il giallo non ha soluzione e non si chiude con la scoperta del colpevole. Secondo la concezione di Gadda la realtà è troppo complessa e caleidoscopica per essere spiegata e ricondotta ad una logica razionalità

Per lui la vita è un caos disordinato, un “pasticciaccio” di cose, persone e linguaggi. Il romanzo, ideato a partire dal 1945, venne scritto in prima stesura durante il soggiorno fiorentino di Gadda, sotto l’impulso liberatorio e compositivo seguente la fine della guerra, e la caduta del regime fascista. La prima pubblicazione, avvenuta a puntate sulla rivista Letteratura nel 1946, ebbe una diffusione molto limitata. Dopo il trasferimento a Roma di Gadda come giornalista RAI, l’editore Livio Garzanti gli propose la pubblicazione in volume, realizzata nel 1957 con un immediato successo: l’autore, fino ad allora conosciuto e stimato da una ristretta cerchia di critici, divenne quindi noto al grande pubblico. Tra la prima versione del romanzo e quella definitiva in volume vi sono alcune differenze, come varianti nel testo e una diversa articolazione dei capitoli (da sei a dieci), finalizzata ad aumentare la tensione narrativa del racconto. La prima parte del romanzo è incentrata sulla scoperta dei delitti e sulle indagini tra gli esponenti della borghesia romana, mentre la seconda sulle indagini all’interno del proletariato della periferia della città. Il romanzo è privo di un vero e proprio protagonista, o di un punto di vista che rifletta quello dell’autore, se non a tratti il personaggio di Ingravallo, che cerca di porre ordine in una situazione caotica. La mescolanza tra le situazioni, i personaggi, e il loro linguaggio, dà luogo a un plurilinguismo e a un intreccio tra spaccato popolare e borghese.

Il romanzo rappresenta probabilmente, con La cognizione del dolore, la migliore opera dello scrittore; nel romanzo, infatti, il virtuosismo linguistico e sintattico, il “barocchismo” e l’uso di più livelli di scrittura (dal dialetto popolare alla descrizione con echi manzoniani, dai termini arcaici fino alla pura invenzione di vocaboli) rappresentano la complessità della realtà ed insieme la sua essenza fatta di “percezioni”: l’affascinante “buccia delle cose”. Detto “pasticciaccio”, secondo l’occhio disilluso di Gadda, riflette inoltre l’agglomerato di linguaggi e comportamenti, orrori e stupidità, della società italiana. Un narrato apparentemente comico (si pensi alla scena della defecazione della gallina), quindi, non deve trarre in inganno il lettore. Questo espediente vuole mettere in luce il garbuglio di un mondo che più che comico è ridicolo, e disvela così una condizione drammatica cui non si può porre rimedio. Pur composto in date sovrapponibili alla Cognizione, fu pubblicato prima, in un intento, tutto gaddiano, di rappresentare prima il “pasticcio” della realtà, e poi il dolore che ne deriva. Tra il 1946 e il 1947 lo stesso Gadda elaborò un abbozzo di adattamento cinematografico del romanzo destinato alla Lux Film, ma la sceneggiatura venne pubblicata solo nel 1983 con il titolo Il palazzo degli ori. Il «palazzo degli ori» è, nell’immaginazione popolare, il mitico palazzo di via Merulana in cui vengono commessi la rapina e l’efferato omicidio raccontati da Gadda in Quer pasticciaccio brutto de via Merulana.  Dal romanzo Gadda trasse, nel lungo intervallo tra la pubblicazione in “Letteratura” del 1946 e quella in volume del 1957, il presente «trattamento» cinematografico che non si tradusse mai in un film (è infatti altra cosa dalla sceneggiatura per il film [Un maledetto imbroglio] realizzato [da Pietro Germi] alla fine degli anni Cinquanta, a cui Gadda rimase estraneo).
L’interesse dell’inedito, la cui pubblicazione era prevista dall’autore, è già nel diverso sviluppo della vicenda rispetto al romanzo. Non solo la conclusione, ambigua nel romanzo, è qui esplicita, ma tutta la storia è ordinata in progressione ascendente verso la catarsi finale, acquistando in compattezza e stringatezza ciò che perde in pasticcio barocco.

Solo dopo il successo della pubblicazione in volume si pensò ad un adattamento per il cinema e nacque il film Un maledetto imbroglio, diretto da Pietro Germi e uscito nel 1959. La sceneggiatura fu approvata ma non curata da Gadda: anche per la consumata abilità del regista, ne venne fuori comunque un solido e sanguigno poliziesco, benché ovviamente nel film la componente linguistica non sia trasportabile e per necessità di racconto si sia comunque dovuto trovare un colpevole. Dal lavoro di Gadda è stata inoltre ricavata nel 1983 la miniserie televisiva omonima Quer pasticciaccio brutto de via Merulana interpretata da Flavio Bucci e diretta da Piero Schivazappa su sceneggiatura di Franco Ferrini derivata dal romanzo originale.

QUER PASTICCIACCIO BRUTTO DE VIA MERULANA PERSONAGGI

Sezione investigativa di Santo Stefano del Cacco (Collegio Romano) e altri agenti di Polizia

FRANCESCO INGRAVALLO: commissario.
FUMI: commissario capo.
GAUDENZIO DEVITI (detto«er Biondone»): agente in borghese.
POMPEO PORCHETTINI (detto «lo Sgranfia»): agente in borghese.
DI PIETRANTONIO: agente.
PAOLILLO: agente.
SANTOMASO: agente. RODOLICO: agente.
PISCITIELLO: agente.
RUNZATO: agente.

Tenenza dei Carabinieri di Marino

FABRIZIO SANTARELLA: maresciallo della Tenenza dei Carabinieri di Marino.
PESTALOZZI: brigadiere della Tenenza dei Carabinieri di Marino.
COCULLO: carabiniere.

Altre forze dell’ordine

VALIANI: maresciallo della polizia scientifica.
AMABILE PANTANELLA: vice questore. MUCELLATO: giudice istruttore.
MACCHIORO: sostituto procuratore.

I sospetti

ENEA RETALLI (detto Iginio)
CAMILLA MATTONARI
LAVINIA MATTONARI
INES CIONINI
DIOMEDE LANCIANI
ASCANIO LANCIANI

Gli abitanti di via Merulana 219

MANUELA PETTACCHIONI: portinaia.
LILIANA VALDARENA e REMO ELEUTERIO BALDUCCI: scala A, piano 3°.
TERESA ZABALÀ VEDOVA MENEGAZZI: scala A, piano 3°.
SIGNOR BOTTAFAVI e TERESA BOTTAFAVI: scala A, piano 4°.
FILIPPO ANGELONI: scala A.
ALDA PERNETTI: scala A.
AVVOCATO CAMMAROTA e MOGLIE: scala A, piano 4°.
SORA ELODIA: scala B.
ORESTINO BOZZI: scala B.
ENEA CUCCO VEDOVA BOLENFI: scala B, piano 5°.
OTTORINO BARBEZZI-GALLO: scala B, attico.
GIULIETTA FRISONI: scala B.
PROFESSORESSA BERTOLA
MADDALENA FELICETTI e MADRE

Nipoti e domestiche dei Balducci

MILENA: prima nipote.
INES: seconda nipote.
VIRGINIA TRODDU: terza nipote.
LUIGIA ZANCHETTI (detta Gina): quarta e ultima nipote.
ASSUNTA CROCCHIAPANI: domestica.
ROSA TADDEI: ex domestica.

I Valdarena

GIULIANO
ZIA MARIETTA
ZIO CESARE
ZIA ELVIRUCCIA
ORESTINO
ZIO PEPPE
ZIA ROMILDA
NONNO RUTILIO
ZIO FELICE
ZIO CARLO

Gli altri personaggi

DON LORENZO CORPI: parroco della chiesa dei Santi Quattro.
CENCIA: domestica a mezzo servizio di Teresa Menegazzi. ZAMIRA PÀCORI: proprietaria di un laboratorio di maglieria ai Due Santi.
CECCHERELLI: orefice di Campo Marzio.
GALLONE: garzone dell’orefice Ceccherelli.
GIUSEPPE AMALDI: lavorante dell’orefice Ceccherelli.
RAGIONIERE DEL BO: cassiere-capo del Banco di Santo Spirito.
MARGHERITA CELLI (vedova Antonini Gaspare): padrona di casa di Ingravallo.
PIER CALUMÈRO BARLANI: cognato di Margherita Celli.
ALFREDO MERLANI: bigliettaio delle Tranvie dei Castelli.
MARA CIURLANA: titolare di una ditta di maglieria.
AMALIA BUZZICHELLI: padrona di casa di Giuliano Valdarena.
CLELIA FARCIONI: lavorante della Zamira Pàcori.
EMMA: lavorante della Zamira Pàcori.
VERONICA MIGLIARINI: abitante di Tor di Gheppio.
GAETANO DE MARINI: notaio.
CRISTOFORO: fattorino dei Balducci.
IRENE SPINACI: madre di Luigia Zanchetti.
RENATA LANTINI: fidanzata di Giuliano Valdarena.
MATILDE RABITTI: madre di Giuliano Valdarena.
CARLO RICCIO: secondo marito di Matilde Rabitti.
SOR PIPPO: oste di Marino.
CASALIS: ingegnere.
BOCCIARELLI: ingegnere.
BELTRAMELLI: medico.
MACCHIORO: medico.
D’ANDREA: medico.
BECCARI: medico.
GHIANDA: pediatra.
VELANI: monsignore.
LUCIANA: figlia minore del maresciallo dei carabinieri Fabrizio Santarella.
RACACE: tenente di Vascello.
MONTECCUCCOLI: ammiraglio.
SALVATORE: pregiudicato.
SALVATORE: altro pregiudicato.

I Luoghi

La città viene esplorata nelle pagine del libro al centro e in periferia: seguendo Gadda visitiamo la "gran fiera magnara" di piazza Vittorio le chiese vicino via Merulana, S. Antonio da Padova, S.Clemente, i Santi Quattro Coronati, largo Brancaccio, il Pincio, il Gianicolo, il Collegio Romano, S. Stefano del Cacco e il Policlinico; e poi ancora i quartieri alti, via Boncompagni e via Veneto.

Non c’é quasi quartiere della città che non venga nominato, come pure é descritta minuziosamente la zona dell’Appia verso i castelli romani dove una parte della vivenda è ambientata: Marino, Albano, Pavona, Casal Bruciato, Torraccio, I due Santi, il percorso delle tranvie dei castelli la ferrovia Roma-Napoli sono i luoghi in cui si aggirano i collaboratori dell’inchiesta tesa a svelare il mistero della morte di Liliana Balducci. Roma dunque, i suoi abitanti, i suoi quartieri, il suo dialetto, diventano i protagonisti di questo complesso e modernissimo romanzo. Il romanzo fornisce l’esatta ubicazione o informazioni utili tali da permettere l’esatta ubicazione di molti personaggi (anche minori o non attori della vicenda) sia a Roma, sia nel Agro Romano. Sono tra gli altri indicati i indicati i seguenti esercizi e monumenti: il «maccheronaro» a via del Gesù frequentato da Pompeo, il «salumaro» a via Panisperna di cui si è servito il commendator Angeloni, il Cimitero Monumentale del Verano in cui è sepolta Liliana Balducci, l’hotel D’Azeglio presso cui Remo Balducci risiede dopo la morte della moglie, il palazzo di via Merulana 219, dove entrambi risiedono prima dell’omicidio, il commissariato a via Santo Stefano del Cacco, Don Lorenzo Coppi, parroco della chiesa dei Santissimi Quattro Coronati.